Una delle pagine più famose nella storia della letteratura ciclistica è quella in cui Dino Buzzati, inviato al Giro d’Italia del 1949, paragonò il giovane Coppi ad Achille e il vecchio Bartali ad Ettore.
Se si volesse riproporre il paragone epico ai corridori di questa Tirreno-Adriatico, verrebbe da dire che se Achille e Ettore fossero stati i van der Poel e Pogačar (e mettiamoci pure dentro anche van Aert; come Ulisse, diciamo) visti oggi pomeriggio sui muri di Castelfidardo, gli eroi dell’Iliade sarebbero ancora lì a rincorrersi sotto le mura di Troia.
Perché se in Coppi/Achille e Bartali/Ettore si possono facilmente individuare un vecchio e un giovane, uno sconfitto e un vincitore, oggi è invece molto più difficile trovare qualcuno che abbia perso.
Verrebbe da dire van Aert, certo, perché è arrivato terzo dietro gli altri due lasciando 39” in classifica generale a Pogačar. Ma il campione belga ha pur sempre gli abbuoni di domani da giocarsi in volata e poi la cronometro finale in suo favore.
E poi, soprattutto, si può considerare che abbia perso uno che corre in quel modo?
Senza mollare mai, a rincorrere spesso da solo su ogni possibile terreno, sempre nei primi 10 in tutte le 5 tappe finora disputate.